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la città del deserto 177


volo; ed ecco perchè quando egli riusciva a impossessarsene di uno, non lo lasciava più, e lo faceva servire per tutti gli altri scappati via. La sua bonaria indifferenza verso l’itinerario aveva degli aspetti invidiabili; e sorridevamo dei suoi errori geografici, non per gli errori, ma per una certa freschezza d’ingenuità che li accompagnava, per la rivelazione d’una semplicità originale; sentivamo, vicino a lui, quel piacere buono che dà sempre il contatto d’un’anima nuova, l’anima d’un grande fanciullo intelligente. Nei piani paludosi fra Urga e Kiakhta. — Manovra per risollevare l’Itala affondata. Per Ettore la questione del viaggio consisteva tutta in due chiare verità: prima verità — che bisognava correre per due o tre mesi, tutti i giorni o quasi, dalla mattina alla sera; seconda verità — che per arrivare, l’automobile doveva esser ben diretta, vigilata, ascoltata, controllata, esaminata, curata, pulita, oliata, ingrassata, continuamente, senza mai stancarsi, consacrandole tutta l’attenzione, l’esperienza, l’intelligenza e l’energia. E questo era affar suo. Alla sera, arrivando alle tappe, egli non mangiava e non dormiva finché non aveva finito di mettere in ordine la macchina; e passava lunghe ore sdraiato in posizioni assurde sotto