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la città del deserto 175


chilometri da noi, e le De Dion-Bouton a duecentocinquanta. Il mistero di quell’automobile passata alcune ore prima senza fermarsi era spiegato. Come non averlo capito subito?

— Ma eravamo noi! — abbiamo detto al cinese stupito — Eravamo noi a passare laggiù. Non ci siamo fermati perchè non abbiamo visto l’ufficio telegrafico, che siamo andati a cercare poi su tutti versanti della collina, meno che su quello buono.

— L’automobile che è passata mi pareva più piccola! — osservò dubitoso.

— Effetto della distanza.

— È vero! La distanza impiccolisce ogni cosa.

Emessa questa profonda verità il telegrafista si mostrò pienamente convinto.

Facendo il conto della strada percorsa, trovammo che quel giorno avevamo superato il primo migliaio di chilometri da Pechino. Per festeggiare l’avvenimento ci decretammo l’offerta d’un sontuoso banchetto. Un Lama pastore capitato in quei paraggi ci vendè un agnello che gli pagammo con ritagli di argento (poichè nessuna moneta coniata ha corso fra i mongoli), debitamente pesati in una bilancetta apposita della quale ci eravamo forniti a Kalgan. E l’agnello, affidato alle sapienti cure del telegrafista, ci ricomparve qualche ora dopo trasformato in un gigantesco piatto di lesso fumante, che ci sembrò la più prelibata vivanda del mondo.

Avanti al cumulo delle ossa accendemmo poi le sigarette, e, alla luce d’una candela infilata nel collo d’una bottiglia, ci trattenemmo lungamente a parlare della vicina città del deserto, il cui recinto non fu mai varcato da piede femminile, del nostro viaggio, della prossima tappa. Avevamo completamente dimenticato la stanchezza, la sete, tutte le sofferenze della lunga giornata, dodici interminabili ore trascorse sotto al sole cocente in una continua accasciarne fatica di nervi, fra mille dubbi e mille ansie.

Come sembravano piccole e disprezzabili le difficoltà passate! Il futuro incalza talmente, che non perdiamo il tempo a guardarci