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162 capitolo viii.


aspettarle due giorni ad Urga, la capitale della Mongolia ove contavamo giungere l’indomani, come le avevamo aspettate a Kalgan.

Brillavano ancora delle stelle verso l’occidente quando partimmo per Tuerin — la prossima stazione telegrafica lontana più di 300 chilometri — dopo aver sorbito un buon thè bollente, e dopo di aver salutato e ringraziato i nostri telegrafisti.

La mattina era fredda, e ci eravamo imbacuccati nelle pellicce, appena sufficienti a proteggerci. Ma tre ore dopo già le avevamo Donne Mongole di Urga. abbandonate sulle spalliere dei sedili. E alle 9 cominciavamo di nuovo a soffrire le torture del caldo.

Avremmo giurato che il caldo aumentasse di giorno in giorno; ma in realtà lo sentivamo di più per la eccessiva sensibilità della nostra pelle malata. Inoltrandosi il giorno, nemmeno la ventilazione prodotta dalla velocità ci recava più sollievo. Provavamo a volte l’impressione di essere investiti da un rovente alitare di fornace, l’effetto di avvicinarci troppo a qualche incendio invisibile. La sete ci riprese, continua, torturante; l’estrema siccità dell’aria