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132 | capitolo vi. |
la chiave; era il mobile dei tesori, la cassaforte di famiglia; in esso vedemmo riposte le scatole di corned-beef da noi regalate. Mentre stavamo coscienziosamente empiendoci di latte, udimmo delle parole che ci fecero dare un balzo di sorpresa:
— Sprechen Sie Deutsch?
Un giovane mongolo, entrando, aveva fatto quella domanda così semplice e così sbalorditiva. Egli aveva parlato con un ottimo accento teutonico.
— Ja — rispose il Principe al colmo dello stupore — Ich spreche Deutsch.
E il giovane mongolo cominciò a conversare nella lingua di Goethe. Domandò quale era la velocità massima della nostra automobile, e la trovò soddisfacente.
— Ma dove avete imparato a parlare tedesco? — gli domandò Borghese.
— A Berlino. È lontana Berlino!
— A Berlino?
— Sì, vi sono stato due anni.
— E, a che fare?
— A fare il Mongolo! — rispose gravemente.
Credemmo che scherzasse, o che non avesse capito la domanda.
— Cosa facevate a Berlino?
— Il Mongolo, facevo il Mongolo! — ripetè con convinzione; poi aggiunse: — Stavo in una esposizione, capite? Vi erano genti di tutte le razze, e vi era un accampamento di yurte mongole anche, con i cavalli, i cani e le donne; e tanta folla veniva a vederci ogni giorno, e ci parlava, e così ho imparato il tedesco.
— Vi piace l’Europa?
— Sì. E a voi, vi piace la Mongolia?
— Molto.
Si mostrò contento di noi a questa risposta che gli faceva apprezzare il nostro illuminato giudizio.