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per le praterie mongole | 125 |
stessi perdevano a poco a poco ogni contorno velandosi nell’ombra. La tenebra pare che allontani e che isoli; essa finisce col rendere taciturni, perchè dà la sensazione d’esser soli. E tacemmo quando nell’oscurità non vedemmo più distintamente che il brillare delle sigarette accese e un biancheggiare di carte in terra. Il cielo sereno s’era coperto di miriadi di stelle.
I mongoli nostri vicini erano addormentati intorno al fuoco spento; ad essi se n’era aggiunto un altro, arrivato sopra un cammello, e la bestia gibbosa, accovacciata e immobile, si profilava sull’ultimo chiarore dell’occidente e assumeva una grandiosità monumentale, come quei giganteschi cammelli di pietra che adornano le tombe dei Ming. Si sentivano brucare i cavalli, lontano. I cinesi erano spariti.
— Bah, corichiamoci — esclamò Borghese. — Domani dobbiamo levarci alle tre!
Preparammo i nostri giacigli sotto la tenda, poi ci mettemmo a raccogliere gli oggetti dispersi intorno, sull’erba. Mi accorsi subito della mancanza di varie piccole cose, di un coltello, di un bicchiere d’argento, di un nécessaire da caccia. E pure erano lì poco prima; li avevo adoperati. Vi erano dunque dei predoni? La scoperta di questi furti non era rassicurante. In quel momento il Principe mi domandò:
— Ha preso lei le cartucce?
— Quali cartucce?
— La provvista di cartucce da revolver che era qui.
— No.
— Sono state rubate, allora. Sono sparite tutte. Non ci resta altra arma utile che una pistola Mauser. A meno che non abbiano rubato anche....
— Le cartucce della Mauser? — chiesi inquieto.
— Già!... No, quelle eccole. Erano dentro al bagaglio. Carichiamola, a buon conto.
— E facciamo buona guardia. Un furto di cartucce è grave.
— Ettore, coricati con la pistola a portata di mano.