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118 capitolo vi.


di pellicce, provenienti da Sair-ussu, si allineavano vicino ad una povera capanna. I buoi, liberi dal giogo, pascolavano intorno: piccoli buoi neri dalle lunghe corna, di una razza speciale che resiste alle fatiche e alle privazioni delle grandi traversate. Dalla capanna uscì un cinese, un’altra autorità, ma senz’uova e senza thè, il quale, deferente agli ordini del Ta Tsumba, veniva ad offrirci i suoi servigi. Borghese non glie ne domandò che uno: di indicarci la strada dei cammelli.

Eravamo ancora sulla strada di Sair-ussu. Dovevamo proseguire fino alla prima stazione di posta, riconoscibile perchè vi è una bandiera, e vi sono dei soldati, ma sopratutto perchè non esistono altre costruzioni per un raggio di molti chilometri. Non correvamo dunque il rischio di sbagliare. Dalla stazione dovevamo semplicemente seguire la linea telegrafica: il telegrafo, nostra guida ufficiale, entrava in funzione.

Un’ora dopo ci fermavamo in un prato, vicino alla stazione di posta. Eravamo ad una cinquantina di chilometri da Kalgan. Verso le undici le altre automobili ci raggiunsero. Cominciarono gli ultimi preparativi, febbrilmente. Assestare definitivamente i bagagli fu un’operazione lunga e laboriosa; i carichi erano fatti e disfatti; v’era sempre qualche cosa di troppo o qualche cosa di dimenticato. Sull’erba, uno sparpagliamento di pellicce, di scatole di biscotto, di sacchi, di corde. Si gettava ai coolies il superfluo: letti da campo, materasse, bidoni vuoti. I motori erano riesaminati, controllati, provati. Ogni parte della macchina subiva un’attenta rivista. L’Itala veniva sormontata da una gran tenda a baldacchino, sorretta agli angoli da quattro aste di ferro, tenda che alla notte, smontata e fissata in altro modo, doveva servirci da ricovero.

Intorno a noi s’era adunato un pubblico nuovo: soldati cinesi, armati di fucile, venuti da una certa loro fortezza di fango cinta da mura a merli e feritoie; carovanieri che avevano lasciato i loro convogli per vedere quel che avveniva di straordinario nella prateria; mongoli che abitavano alcune yurte vicine, sopraggiunti