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100 capitolo v.


pare si affolli all’imboccatura del gran ponte di pietra sul Ta-ho per attraversarlo.

Noi non lo abbiamo attraversato. Gli antichi e monumentali ponti cinesi c’incutevano troppo rispetto. Preferivamo i guadi. Scendemmo nel letto del fiume, dove tutta una popolazione di conciatori era intenta a lavare pelli di capra mongola nella corrente, grandi cataste di pelli dalla lana fioccosa che facevano pensare ad un immenso gregge scorticato. Si sentiva nell’aria l’odore del cuoio e delle concie; veniva dalla città stessa nei cui vicoli c’immergevamo; passavamo fra capanne di fango cinte da palizzate, fra abituri di sobborghi che hanno un aspetto positivo, che dicono già della vicinanza di terre e di genti selvagge. Sboccammo in un mercato brulicante di mongoli dal berretto di pelo, ingombro di baracche, pieno di carri, di cavalli, di gridi, di frastuono. La gente ci faceva largo stupita, e ci sentivamo come seguiti da una scìa di silenzio. Dei soldati in casacca rossa correvano precedendo un palanchino circondato da ufficiali a cavallo, uno dei quali reggeva con solennità un ombrello rosso, distintivo del comando: passava un gran mandarino, il presidente della giustizia di Kalgan, un bel cinese grasso e tondo, somigliante a quei mandarini di porcellana dalla testa snodata che dicono sempre di sì. Siamo entrati nella “Città Alta„ che s’insinua nella vallata. In mezzo alla via ci aspettava un europeo.

Era il signor Dorliac, direttore della succursale della Banca Russo-Cinese, che ci offriva ospitalità.

Accettammo con riconoscenza il gentile invito di quell’eremita della civiltà, il quale vive lontano dai suoi simili in una specie di casa cino-europea, diciamo pure russo cinese, iniziando i nativi ai misteri della cambiale. Il cortile della Banca diventò il laboratorio di Ettore; gli uffici divennero il nostro accampamento. In poche ore l’Itala riprese il suo aspetto normale, dopo di aver licenziato la cassetta da imballaggio per riaddossarsi la carrozzeria con i suoi serbatoi. Trovammo pronto il nostro primo deposito di benzina e d’olio, che i serbatoi assorbirono. Per dimi-