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sulla soglia della mongolia 93


venuti incontro in segno di ospitalità (ed avevamo preparato per l’occasione il nostro repertorio di saluti e di complimenti cinesi), non sapevamo spiegarci il fenomeno di quella manovra equestre. Ma Pietro aveva avuto il tempo di parlare con uno dei due soldati, e ci ha informati:

— Avere visto giovane uomo vestito seta azzurra, a cavallo lui avanti a tutti? — ci ha detto.

— Sì; ebbene?

— Giovane esser figlio del mandarino. Avere visto grosso uomo con occhiali e cappello paglia come mio cappello? Grosso uomo essere grande letterato, maestro del figlio del mandarino. Altri essere amici, ufficiali, servi....

— Ma che volevano?

— Volere vedere correre automobile. Automobile non correre, tutti andare via non contenti.

E non avevano tutti i torti, conveniamone. Non capita tutti i momenti al figlio del mandarino di Hsin-wa-fu, che deve essere un progressista, l’occasione di vedere la famosa macchina occidentale che fugge come il vento. Ed ecco che da Pechino l’arrivo di chi-cho è annunziato ufficialmente con un comunicato telegrafico del Wai-wu-pu. Si sa poi che uno di essi è passato vertiginosamente per villaggi e borgate pernottando a Shin-pao-wan. Dei soldati sono spinti in esplorazione e tornano a spron battuto portando la notizia: eccolo! Per vederlo correre bisogna andare lontano, evidentemente, e si forma una spedizione in regola che parte al galoppo. La meraviglia straniera appare all’orizzonte; si avvicina. Sembra lenta ad arrivare, forse per effetto dell’impazienza. Ancora un poco, e il figlio del mandarino col precettore e compagni finiscono per trovarsi davanti ad un lento carro massiccio tirato da un asinello, da un mulo, da un cavallo, coadiuvati da una volonterosa squadra di figli del cielo. No, in verità non avevano torto di mostrarsi profondamente disgustati di noi.

All’entrata del sobborgo, che si prolunga fuori delle mura come un riversamento disordinato della città troppo compressa,