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88 capitolo iv.


battevano per una questione d’amor proprio. Uno aveva detto all’altro: “Tu non fai forza, tu non lavori, perchè sei venuto?„ L’offesa era grave. L’altro (un ragazzo dall’aria di fanciulla, e che per questo avevamo soprannominato la Signorina) s’è slanciato sull’offensore per tirargli il codino, il che rappresenta agli occhi cinesi un’atroce vendetta. I compagni erano intervenuti per sedare la lite.

— Pietro, come finirà questa faccenda?

— Ma è già finita — ci risponde sorpreso — tirato coda finito tutto!

E veramente vediamo i nostri eroi, attaccati alla stessa cordata, lavorare ancora insieme senza l’ombra del rancore; della lite non conservano altro ricordo che qualche graffio sanguinolento che si asciugano di tanto in tanto col rovescio della manica.

Le difficoltà della strada hanno sùbito ripreso tutta la nostra attenzione.

Il sentiero s’incassava fra pareti di roccia, così vicine che noi le toccavamo tutt’e due aprendo le braccia. Con quale ansia attraversavamo quei singolari corridoi tortuosi! Ci sembrava che l’automobile dovesse rimanervi incastrata. Tornare indietro sarebbe stato impossibile. In basso, le pareti avanzavano talmente che una delle ruote doveva sempre montare un po’ sulla sporgenza della roccia. La macchina camminava inclinata. Occorrevano un colpo d’occhio ed una sicurezza meravigliosi per guidarla. Era una questione di centimetri. Di centimetro, anzi. Talvolta Ettore, stretti i freni impetuosamente, e immobilizzata così la macchina, si volgeva esclamando con tono scoraggiato: Non si passa! — E bisognava por mano al piccone, abbattere qualche sporgenza, misurare, tentare ancora facendo tirare gradatamente i soli uomini, al grido di: Ma-man-ti! “Piano!„ Le nostre voci erano rimandate dagli echi, che pareva volessero anche loro avvertire: Ma-man-ti!

Il maggiore pericolo era per le ruote posteriori. Esse venivano talmente serrate in basso e sforzate fra le basi delle due