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66 capitolo iv.


Don Livio ci ha lasciati appena giunti per ritornare a Xankow in tempo a prendere il treno della sera. Ci siamo salutati con effusione, e lo abbiamo seguito con i nostri gridi di addio finchè è scomparso fra le mura del villaggio.

Il vento umido entrava per le laceratine della carta delle imposte ed invadeva le nostre umili camerette. — “Pietro, del fuoco! Pietro, del thè bollente! Pietro, qualche cosa da mangiare!„ Ed ecco Pietro, premuroso e sorridente andare e venire, accorrere col bragiere, con la theiera, con delle uova, rispondendo alle interrogazioni in un italiano tutto suo. Pietro è un servo prezioso: figlio d’un vecchio ma-fu della Legazione, discendente da una dinastia di ma-fu che regna sulle scuderie dei ministri d’Italia, egli è innalzato spesso all’onore d’incarichi per i quali si richieda intelligenza e fedeltà. Così ci accompagnava a Kalgan quale maggiordomo e interprete: una specie di aiutante di campo.

— Pietro — gli ha chiesto Borghese — tu sei cristiano?

No, buddista io!

— Allora, perchè ti chiami Pietro?

Non chiamale Pietlo io! Chiamale Wu-tin — ha risposto mangiando l’r come ogni buon cinese.

— Ma se ti chiamo Pietro tu rispondi.

Sì, tutti chiamale Pietlo me, io lispondele.

Un ultimo ordine: “Pietro, domani a mattina svegliaci alle tre; e che i coolies sieno pronti a quell’ora!„ — E avvoltolati nelle coperte, abbondantemente cosparse di polvere insetticida, abbiamo invocato il sonno. Attraverso la fragile parete, udivamo nella stanza vicina i marinai parlare dei loro paesi e di navigazioni lontane.


Alle quattro e mezza del 12 Giugno lasciavamo Cha-tau-chung, con un tempo nuvolo e freddo che prolungava la notte e ci faceva rabbrividire negli impermeabili ancora bagnati.

I marinai dovevano tornare indietro; avevano l’ordine di lasciarci al secondo giorno di marcia se la loro presenza non si