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60 capitolo iii.


parlava cinese, con una corretta pronunzia siciliana, era stato a Kalgan con la colonna internazionale che vi arrivò nel 1900, e conosceva la strada come un pilota. Tutti possedevano l’invidiabile virtù del buon umore; ogni cosa pareva creata apposta per renderli felici. La pioggia insistente, che penetrandoci persino sotto l’impermeabile portava in noi come una gelida infiltrazione di tristezza, la pioggia stessa li rallegrava. Nell’acqua trovavano il loro elemento favorito. Con le uniformi di tela zuppe e incollate alle spalle, sgambettando nelle pozze, essi burlavano la tempesta. Cari compagni, e fiera scorta a quella nostra piccola bandiera; pronti a ridere, e pronti, all’occasione a battersi.

Un rauco suono di tromba, un fischio, un accorrere di uomini, un canto di moltitudine, uno schioccare di frusta, e la marcia continuava. Su, su, per la valle che sembrava senza fine, la valle di Ku-yu-kvan, sempre più aspra.

Improvvisamente la valle si restringe. Pare che si chiuda. Si ha l’impressione che non esista un’uscita, che le montagne si siano avanzate a barrare il passo. Non si scorge al primo momento un’angusta gola che s’apre alla destra, una specie di fenditura fra scogli a picco, larga una quarantina di metri, un vero corridoio fra pareti di roccia. Avevamo percorso un paese tetro; in quel punto entravamo nell’orrido.

Da epoche immemorabili gli uomini debbono aver avuto paura di quel paesaggio, poichè lo hanno considerato sacro. È sacro, forse perchè la gente passò sempre di lì con la preghiera sul labbro: quel luogo invita alle invocazioni. La montagna è già per se stessa un mistero alle menti semplici, è uno slanciarsi della terra verso il cielo; le grandi vette sono in contatto con la divinità. In quel punto, in mezzo ai monti, si apre una porta. Tutte le stirpi che l’hanno varcata vi debbono aver riconosciuto il segno di una volontà suprema, un’opera divina creata per ragioni imperscrutabili, e perciò terribili. Quegl’immani stipiti di basalto dovevano significare alle fantasie l’imposizione di un limite. Al di là v’era qualche cosa alla quale bisognava prostrarsi.