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di loro non si svolgesse l’ostilità di tutti gli organi dello Stato, se una artificiosa slavizzazione non avvenisse per volontà di Governo, se agli avversarî non fossero prestate tutte le armi della autorità, se ogni manifestazione d’italianità non fosse perseguitata come un crimine quasi che l’essere italiano fosse la più pericolosa forma di rivolta, se non si verificasse a danno degl’italiani una patente e continua violazione di diritti da parte di chi dovrebbe tutelare ogni diritto, se non si rinnovassero contro l’italianità sistemi di oppressione che noi credevamo non fossero più del nostro tempo.
Il programma confessato.
Che cosa si vuole? La stampa austriaca dei partiti dominanti lo dice senza ambagi e senza veli: far sparire l’elemento italiano in quelle regioni, come nella Dalmazia fu fatto sparire dalla «saggia politica» dei governanti. La stampa slovena lo ripete a gran voce. A Trieste stessa l’Edinost, organo sloveno, ha stampato: «Noi non desisteremo finchè non avremo sotto i nostri piedi, ridotta in polvere, l’italianità di Trieste. Non cesseremo finchè non comanderemo noi a Trieste, noi sloveni, slavi.» Il programma non è soltanto attuato ma è confessato e proclamato. Si è giunti alla fase brutale ed epica della lotta. L’italianità, che ha tutti contro, non vuol cedere, non vuol morire; sotto al possente ginocchio dell’impero essa trova forze incommensurabili di resistenza nella profondità della sua coscienza nazionale, nell’orgoglio del suo passato, nella speranza della salvezza. Da quindici secoli essa costituisce un baluardo della latinità, la difesa avanzata della civiltà romana, e non può venire distrutta senza che l’equilibrio delle razze si rompa e il flusso slavo passi dai confini etnici a portare il suo impeto sui confini politici del mondo latino.
Non è questa una lotta naturale di nazionalità. Si comprende che gli slavi premano e che gl’italiani resistano, ma abbandonato alle sue forme sincere tale conflitto non avrebbe mai rappresentato un pericolo per la