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le tradizioni che li circondano, per l’amore che li custodisce, per la favella che risuona intorno a loro, per il sentimento che vibra nella folla, per tutte quelle cose che sono la continuazione della vita antica e che dànno un significato alle pietre, un’eloquenza ai muri. Per la bocca del popolo ogni traccia del passato narra la sua leggenda. Gli uomini parlano dei monumenti e i monumenti parlano degli uomini. Con i secoli fra la terra e i suoi figli è nata una comunanza profonda. L’anima del popolo è piena della sua terra come la terra è piena di generazioni. La polvere che si calpesta ha vissuto e parlato la stessa lingua che si ode oggi. Ed è a questa italianità che si attenta. Si vuoi troncare una storia come si tronca una testa. I monumenti dell’italianità, così viventi, dovrebbero divenire delle mute pietre sepolcrali nel mondo slavo, e, come nella Dalmazia croatizzata, si vorrebbe demolire il più grande, il più prezioso, il più fulgido monumento del popolo: la sua anima.

Le sorti dell’italianità non ci possono essere indifferenti; e non può lasciarci insensibili lo spettacolo magnifico dei sacrifici e degli sforzi che popolazioni italiane unanimi sopportano per rimanere italiane.

Certa stampa viennese, che non prendiamo in considerazione per quello che vale ma perchè riporta delle idee correnti nei circoli predominanti, osa paragonare la lotta contro l’italianità alla nostra azione coloniale contro gli arabi. L’intenzione è insolente, e possiamo considerare che quelle genti che più affettano di considerarsi superiori a noi, sono state in passato i beduini dell’italianità. Non badiamo all’insolenza, ma alla sostanza del paragone. Noi vorremmo bene che il criterio della nostra colonizzazione prevalesse nella politica verso l’italianità. Vorremmo vedere la popolazione italiana pacifica, rispettata nella sua lingua, nei suoi usi, nelle sue autonomie, nella sua giustizia, nelle sue scuole, nella sua proprietà, nelle sue prerogative, come noi rispettiamo i nostri sudditi africani sottomessi.