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o un testimonio slavo non conosceva l’italiano, si chiamava l’interprete. Cominciò un presidente slavo a non chiamare più l’interprete ed a tradurre lui stesso. Poi finì col non tradurre più ed a pretendere che gli avvocati italiani capissero. Poi venne di regola che tutti gli slavi fingessero di non sapere l’italiano. I dibattiti in sloveno e in croato dilagano, anche quando non vi partecipa di slavo che un perito, salvo a trasformarsi improvvisamente in italiano se l’utilità della discussione lo consiglia, come se la conoscenza dell’italiano sopraggiungesse per virtù divina. Manifesti giudiziari in sloveno, hanno vita contro la legge stessa.


La giustizia.


L’invadenza dello sloveno nel campo della giustizia ha conseguenze che vanno oltre alla offesa e alla sopraffazione. In un paese dove tutti capiscono l’italiano e pochissimi lo slavo, l’uso della lingua slava nei tribunali viene a formare un monopolio. Per poco che entri in una causa l’interesse o la persona di uno slavo, tutti gli avvocati italiani, che formano la quasi totalità nel foro triestino, sono disarmati di fronte ad una deposizione o ad un atto o ad una discussione in lingua ignota. Gli strumenti della difesa legale della popolazione sono in parte paralizzati a beneficio degli avvocati slavi. Data la situazione, per una quantità di processi essi debbono essere preferiti, e concentrano nelle loro mani una mole sempre maggiore di affari e d’interessi. La persuasione pubblica, giusta o ingiusta ma vera, di una parzialità della giustizia, crea un fosco prestigio all’avvocato slavo. Inoltre lo studio dello sloveno è così imposto alle categorie di persone che hanno contatti professionali con la giustizia. Quello che sembrerebbe una ostilità linguistica, è in realtà un formidabile mezzo di penetrazione, di accaparramento, d’imposizione, di oppressione.

Rimaneva nel campo giudiziario una istituzione che sembrava inattaccabile, quella dei giurati. Vi era questo tribunale di giudici cittadini la cui snazionalizzazione