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84 il baluardo ripreso


siva. Vendicavamo il martirio del Novegno, del Lèmerle, dello Zovetto, dove le nostre fanterie erano rimaste ferme in veri cataclismi che minavano le vette e divoravano battaglioni.

Ogni cannonata aveva nelle vallate il lungo scroscio assordante di uno scoppio di folgore, l’eco rimandato da balza a balza non aveva fine, un fragore mostruoso scuoteva l’aria violentemente e la terra tremava. Fino oltre lo sbocco dell’Astico, fino quasi a Thiene, negli accampamenti lontani dall’azione, in tutti i paeselli che hanno cominciato da poco a rivivere dopo la minaccia nemica, nessuno ha dormito nella notte del 22, percorsa dal pauroso tumulto senza requie, piena di un boato immane e squassante che pareva prodotto da un crollo di montagna, da un urtarsi di vette, da una tempesta di rocce. Su tutte le alture dalle quali il Cimone poteva essere scorto si adunavano gruppi silenziosi di ufficiali. Assistevano ad un fantastico e tremendo spettacolo.

Il profilo del monte era vividamente illuminato dalle vampe violastre degli scoppi che palpitavano fra dense nubi di fumo, e le montagne intorno si accendevano del balenìo delle cannonate nei boschi. Di tanto in tanto un lampo bianco, accecante, infiammava per qualche secondo la vetta tempestata, uno sprazzo di luce più alto la impennacchiava. Era prodotto