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50 nella regione riconquistata


nate di pini, si copriva di sassi e di tronchi, in posizioni assurde ed essenziali, impossibili ma indispensabili, colpita di fronte, di fianco, alle spalle, da centinaia di cannoni di ogni calibro.

Nei punti più esposti gli alberi si sfrondarono al primo bombardamento, poi si schiantarono, della foresta non rimanevano che dei tronconi cincischiati; poi le esplosioni delle granate da 305 e da 280, che arrivavano a otto e dieci per volta, sradicarono i ceppi, frantumarono le rocce, sollevarono i macigni dal loro alveolo; ogni colpo si moltiplicava in eruzioni massacranti di pietre e di legno; poi si aprirono voragini, quello che era sulla terra fu sepolto, le ultime tracce del bosco sparirono per lunghi tratti, i tronchi divelti scomparvero sotto frane di sassi. Non c’era più un filo d’erba, non una fronda, niente altro che della sabbia rossastra e della roccia bianca. Il fumo acre colmava le valli, non ci si vedeva a dieci passi, alle vampate gigantesche e incessanti succedeva un’ombra sinistra, passavano nembi soffocanti di polvere, il frastuono terrificante non aveva requie, e in questo inferno, degli uomini andavano carponi, trascinavano via i loro feriti, ammonticchiavano sassi, lavoravano, scavavano, accumulavano munizioni e granate a mano. Appena il cannone taceva, si precipitavano avanti, in mezzo ai cadaveri, col fucile spianato.