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nella regione riconquistata 45


echeggia di voci. La brezza tepida porta ogni tanto dalle vette deserte l’odore della morte.

La valle dell’Astico, in basso, verde, luminosa, vaporosa, fugge e si restringe verso Arsiero nelle ombre azzurre del Cimone, perdendosi in un labirinto di montagne boscose e di gole profonde, tutta costellata di paeselli bianchi che il cannone austriaco ha battuto: Meda, con delle case senza tetto, Velo d’Astico, il cui campanile è troncato, Arsiero lontano che fumiga. Il Cimone erge le sue cime turrite alla confluenza del Posina e fronteggia lo sbocco dell’Astico, come una sentinella torva e vigilante. Ed è ancora una sentinella nemica.

È l’osservatorio avanzato degli austriaci, che spinge il suo sguardo fino alla pianura e sorveglia i nostri movimenti nella vallata. Non vi sono molte forze sulla vetta, ma è impossibile attaccarla di fronte. Pochi tiratori nascosti fra i macigni, nei greti, fra i crepacci delle sommità rocciose, bastano a dominare tutti gli approcci, lungo i quali la scalata non può essere che lenta, allo scoperto, fatta da pattuglie esili salenti in fila indiana. L’avanzata nostra, arrivata al Caviojo, che è una prima pendice del Cimone, è passata oltre, sui fianchi, ha deviato da una parte e dall’altra della montagna inaccessibile, come il gorgo di un torrente diviso da uno scoglio. È risalita lungo i lati, per le strade