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336 una meteora tricolore su trieste

Qualche minuto dopo il velivolo italiano ha visto sparire sotto di sè la lunga e strana penisola della Punta Sdobba e si è trovato sul Golfo di Panzano.

La luna ancora bassa stendeva all’orizzonte una immensa striscia fremente di riflessi, un infinito e tremulo pagliettìo di argento, che faceva apparire più oscura l’ampia distesa delle acque vicine. I nostri aviatori volavano sopra un mare calmo e nero, sopra un mare di velluto, sul quale la terra si disegnava chiara e precisa. Il grigiore cupo, confuso, macchiato, velato delle alture carsiche finiva sulla spiaggia in una striscia sottile e biancastra che limitava il profondo e fluido tenebrore delle onde.

L’aeroplano si abbassava.

Il pilota per discendere doveva diminuire il regime del motore, ed è una pericolosa manovra sul mare quando non si vola in aliscafo. Perchè il motore può non riprendere docilmente il suo impeto a tempo e condurre l’apparecchio al naufragio. Si abbassavano gli aviatori per esplorare l’acqua.

La battaglia del Carso continuava. Era vicina. I due giovani vedevano gli scoppi delle granate sulla «208» e sulla «144» alla destra della nostra fronte, e vedevano le vampe dei cannoni dell’Hermada. Il balenìo dei colpi illuminava le ali dell’aeroplano. Il rombo dell’elica non permetteva di udire le esplosioni, ma la