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334 una meteora tricolore su trieste


binìo di eliche: una squadra di idrovolanti nemici, nascosta come sempre nelle tenebre, veniva a vendicarsi della sconfitta sui paesi inermi e sugli ospedali, sulle donne, sui bambini, sui feriti. Era la prima incursione di questi giorni, nella prima sera della battaglia, martedì.

Da un remoto campo di aviazione, appartenente ad una di quelle nostre infaticabili e valorose squadriglie che compiono l’immenso e oscuro lavoro di esplorazione, che sono sempre in volo sul nemico, osservando, bombardando, combattendo, e che raramente ritornano senza le ali bucate dalle schegge, da un remoto campo, dicevamo, due aviatori, un sottotenente osservatore e un sergente pilota, due ragazzi dal petto fregiato di medaglie al valore, guardavano all’orizzonte lo sfavillare degli shrapnells. E un progetto temerario, già ventilato al campo, maturò nella loro mente: quello di prendere il volo nel buio, mescolarsi alla squadra nemica, seguire la sua rotta di ritorno, arrivare alla sua base e bombardarla.

Pochi minuti dopo un aeroplano italiano si avventava nella notte.

Erano le sei e mezzo di sera. L’apparecchio filava verso il mare guidato dallo scintillare dei colpi. Sulla distesa oscura della piana riconosceva i paesi da leggeri punteggiamenti di lumi. Per non suscitare l’allarme delle popolazioni che udivano il rombo passare su di