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la manovra vittoriosa 307


volgeva dal sud tutta la difesa del monte. Si vedeva da tutte le parti. Per lunghi, tremendi minuti, l’ascesa eroica di quella moltitudine che pareva trasportata da una forza sovrumana, ha formato lo spettacolo centrale della battaglia. Un ondeggiare di fumose caligini la velava, poi ricompariva più precisa, più in alto. A mezzogiorno la cima del Veliki era presa. In cinquanta minuti la immane fortezza era caduta. Intanto le truppe che avevano fatta irruzione a Loquizza avevano già conquistato con analoga manovra il Pecinka, che ha tutta l’apparenza di uno di quei cumuli di ghiaia che si allineano ai fianchi delle strade maestre, ma un cumulo gigante, largo trecento metri, fatto di macigni.

Si ponga mente alla contemporaneità delle azioni e all’influenza dell’una sull’altra. Non si teneva il Veliki senza il Pecinka, non si teneva il Pecinka senza il Veliki. Bisognava avere tutti e due i capisaldi, e nello stesso momento. I due assalti si sono appoggiati, per dir così, fra loro.

Dal Pecinka l’assalto, senza fermarsi, ha proseguito immediatamente verso la vetta successiva, lievemente più alta, la Quota 308, difesa da appostamenti di nuclei dispersi, fuggitivi che cercavano di far argine profittando dei vantaggi del terreno. I nostri avanzavano di corsa, con gli ufficiali alla testa. Avvenivano episodi di