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290 il bombardamento


di un immobile simun. Nubi e nubi si sprigionano torcendosi, grevi, folte, con volute che richiamano l’immagine della lana. Dalla pianura friulana, da trenta, da quaranta chilometri lontano, si vede il cielo torbido ad oriente, una grande macchia bassa e sfumata ai bordi del sereno. Una tempesta schiaccia l’orizzonte.

Il cielo è solcato in tutti i sensi dal volo degli aeroplani. Spesso si ode il canto delle loro eliche e non si vedono gli apparecchi perduti nel sereno. Passano a un certo momento squadriglie di Caproni. L’azzurro ne è costellato. Sembrano sciami di farfalle giganti. Volteggiano intorno a loro e al di sopra di loro degli aeroplani da caccia, dei punti che scintillano. Il rombo dei motori, eguale, profondo, musicale, è così intenso che si può udirlo nel fragore del bombardamento. Le squadriglie vanno a gettare tonnellate di esplosivi sulle stazioini ferroviarie del Carso. Passano veloci, solenni, svaniscono ad oriente, oltre le brume delle cannonate.

Improvvisamente, nella mattinata, si è udito nel cielo anche uno scoppiettìo di mitragliatrici. Un combattimento si svolgeva a tremila metri al di sopra del mondo. Un nostro aeroplano di osservazione era assalito da tre Albatros. Cercava di sfuggire abbassandosi. I nemici lo