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280 dove è passata la battaglia


vi di sostegno che reggevano la carrucola per tirar su il materiale scavato. Una solida scala di legno si sprofonda nell’ombra, fra pareti di roccia. Essa conduce in una cavità buia, umida, tepida, che odora di sudiciume umano, di folla e di miseria. Pare di sentire il soffio di una moltitudine silenziosa. Si posano i piedi sopra un terreno molliccio. Lo sguardo stenta a penetrare le tenebre. Una quantità di cose indefinibili sono intorno, al suolo o addossate alle pareti. Bisogna accendere le lampade.

La cavità si allarga, si amplia, devia a sinistra, sembra senza fine. Le cose indefinibili sono dei lanciabombe, dei serbatoi di gas asfissiante, fatti come le bombole dell’idrogeno dei parchi aerostatici, casse di cartucce, casse di granate a mano, casse di razzi illuminanti, picconi, badili. Il piede incespica in ammassi di indumenti austriaci, cappotti, coperte, cenci. La caverna diventa sempre più grande, e a destra e a sinistra sono costruite delle lettiere per la truppa, a doppio ripiano, come le cuccette degli emigranti a bordo dei transatlantici, rudi ingabbiature di legno. Si va avanti, si va avanti, in un ingombro di casse. Dei fucili sono abbandonati sui tavolacci. La grotta scende lievemente, e si prolunga. Ad un punto la vôlta si abbassa, bianca, scintillante, ed è tutta una frangia cristallina di sottili stallatiti, un meraviglioso ricamo, leggero e pendulo. E segui-