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dove è passata la battaglia | 275 |
che del costone come chi dal fossato d’una fortezza
vede gli spalti. Uno sperone roccioso che
sporge verso Oppacchiasella, solcato da un labirinto
di trincee, di camminamenti, di cunicoli,
nascosto dalla boscaglia, costituiva uno dei
capisaldi della resistenza. I nostri lo chiamavano
«il Forte». Tutti i suoi fianchi dirupati
erano coperti di reticolati. L’assalto è riuscito
a sorpassare di colpo «il Forte», bombardato
e sconvolto; la difesa è stata travolta, dall’attacco,
al primo balzo. Cinque contrattacchi hanno
tentato di riprendervi piede. Ora quello sperone
sembra una gigantesca cava di pietrame.
È una immobile tempesta di macigni divelti.
Non un albero, non più un filo d’erba. Dei cunicoli
sono crollati, delle trincee si sono colmate,
enormi crateri di esplosioni aprono per
tutto la loro cavità affumicata. Centinaia di
scudi di acciaio, strappati ai parapetti come
fogli di carta, sono disseminati fra le pietre,
che le vampe hanno tinto di giallo. Ad ogni
passo, proiettili inesplosi, bombe a mano, fucili
spezzati.
Il vento agita lembi di stoffa sui cadaveri nemici, che giacciono a gruppi, qua e là, levando terree mani, e viene fatto di volgersi con una vaga ansia ad ogni fremito. Laggiù, quel sottufficiale ungherese, dai baffi di stoppa, che mostra i denti in un ghigno macabro, non si è mosso forse? Per lunghi secondi losguar-