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264 l’avanzata


avrebbe per perno il massiccio del Veliki Hribach. Ma in questo momento tutto è congettura. Le nostre truppe sono ancora ai primi sbalzi in avanti. Sbalzi di quattrocento, di cinquecento metri, fra mille ostacoli, fra muricciuoli, foibe, boschetti, rovine.

Avanzano con ardore, manovrando veloci per plotoni. Il loro movimento si segue a tratti in una caligine di fumo. Si intravvedono qua e là piccole file di ometti curvi, che vanno per uno, rapidi, il fucile a «bilanc’arm», e si adunano a ridosso di qualche scogliera o al bordo d’una dolina formandovi granulamenti grigi e immobili di soldati accovacciati. Poi i granulamenti si scompongono ad un tratto, si allargano, e la piccola massa si precipita avanti, a sciame, sempre più lontano, in un subitaneo crepitìo di fucilate. Sul margine di camminamenti e sulla cresta di muricciuoli passano lente processioni di elmetti e di baionette. In molti punti, soltanto le nuvole di qualche shrapnell nemico indicano i limiti dell’avanzata. Sono poche nuvolette che si formano a gruppi, ogni tanto; si direbbe che i piccoli calibri austriaci si siano già allontanati, fuori dell’azione. È l’indice di un ripiegamento sistematico. Mancano poche ore alla notte. Il sole declina, rosso, senza splendore ed enorme in un torbidore di brume.