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258 il colpo di spalla

Il bosco rimbomba di esplosioni, sono forse tubi che spezzano reticolati fra albero ed albero. Non si vede niente. Niente altro che fumo. Dei rami volteggiano in aria lanciati da fosche eruzioni. Ma si capisce, si intuisce che la fanteria è passata e che il nemico batte nel vuoto. Sempre più intensa scroscia la fucileria, e le mitragliatrici mandano come uno stridore lacerante e profondo. Miriadi di sibili acuti solcano l’aria, gli alberi vicini stormiscono, il rumore del legno spezzato è continuo, e qua e là il rumore delle pallottole sulle pietre fa pensare ad uno schioccare di fruste.

Della gente a gruppi corre in una radura. Sono prigionieri che trottano in fila. Arrivano. Li precede un soldatino nostro, tutto sudato, con la maschera contro i gas attaccata al petto, carico di tascapani, di sacchi, di roba che gli saltella sul dorso, viveri, cartucce, granate a mano. Egli ha l’aria sbalordita e contenta.

«Bisogna che io sappia!» — esclama il generale, e lascia l’osservatorio per avviarsi ai rifugi dove sono i telefoni. Nel camminamento v’è una striscia di sangue. Di tratto in tratto il generale è costretto a fermarsi, curvo: passa una raffica di acciaio e di pietra. Ai rifugi trova le prime notizie e manda i primi ordini. Poi si volge rasserenato e sorride. Le posizioni nemiche sono espugnate.