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220 Seguendo la battaglia


dido di calce: è per la notte. Quando il filo non si scorge più, si segue il chiarore di quella traccia, come nella favola di Petit Poucet.

Il movimento delle retrovie va nel labirinto inestricabile, dietro a quel filo d’Arianna. Gira, scala, discende; fra gli alberi, bruciacchiati qua e là dalle vampe, stroncati dalle schegge, passano rapidi e curvi i portatori del rancio e dell’acqua, i portatori di feriti, i portatori di ordini. Appaiono fra i rami, scompaiono, riappaiono, e ad ogni momento tutti si fermano, si abbassano: arriva un colpo. Uno schianto, un urlìo misterioso e veemente attraverso lo spazio, un oscillare di piante scapigliate. Gli uomini riprendono il cammino.

La foresta è bombardata. Il fumo delle esplosioni vicine, grigio e denso, allarga le sue volute fra i rami, vi ristagna come della bambagia, si spande lento, e a tratti si cammina in una nebbia acre. Frulla di tanto in tanto una spoletta, un grido strano e vivente, e con un rumore di sassate arrivano frammenti di roccia, a fitti stormi, tutto intorno, tempestando. Le sassaiuole crepitano a lungo dopo ogni colpo, e delle fronde cadono roteando. Sibili brevi di pallottole bisbigliano in alto. L’ombra del bosco a tratti si addensa e si arrossa per fuggevoli nembi color di ruggine che sfiorano le aguzze cime dei pini. La fucileria scoppietta nelle vicinanze e non si ha un’idea della linea