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notte veneziana di guerra 9


Marco!». Della gente ricoverata sotto alle Procuratie ha creduto la Chiesa colpita e manda un urlo di furore e di dolore. Sono le prime voci umane che si riodono, ed è inconsciamente l’antico grido di guerra e di gloria che esse lanciano rivivendo: «San Marco! San Marco!».

La cattedrale è intatta. Il vocìo si sopisce. Il cannoneggiamento ha ripreso per la quinta volta.

Inaspettatamente, nel pieno della tuonante bufera si spande un suono di campana, chiaro, lento, regolare, sorprendente. Dodici rintocchi. È la campana della Meridiana che suona mezzanotte. Non so perchè questa misurazione inesorabile del tempo, nel furore, nel fragore, nel pericolo, stupisca come qualche cosa di inverosimile. Dà il senso di una impassibilità formidabile, sovrumana ed eterna. Il suono della campana sembra che domini la lotta come la voce di un giudice, serena, imparziale, fatale.

Il fuoco sosta ancora. Dodici aeroplani nemici sono passati. Il silenzio si prolunga. Trascorron lunghi minuti, un tempo indefinibile. Poi il coro delle sirene si rinnova. Mandano ognuna quattro lunghi gridi. È il segno della pace tornata.

Ricompaiono le lucciole azzurre qua e là nell’ombra, che si anima di gente. La città si ridesta, si ripopola. Un risuonare di passi e