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8 notte veneziana di guerra


scianti, un rumore bizzarro che ha un non so che di vivo, di [animale, quasi venisse da invisibili insetti notturni che esalassero un loro grido minuscolo sulla calma dei canali.

Dei razzi salgono. L’uragano di fuoco ricomincia. Le esplosioni delle bombe nemiche sono più frequenti, ma quasi tutte lontane. Le precede il soffio della caduta, acuto, fendente, sinistro. Si succedono a serie, quattro o cinque di seguito. Eruzioni di faville, di fumo, di rottami, erompono dai punti di caduta. Il fumo nero e pesante rimane basso, si corica sulla moltitudine dei tetti, si spande sulla Laguna, vela tutto, ottenebra tutto, acre, pieno di un odore di battaglia e di rovina.

Qualche bomba cade nell’acqua, e lunghe ondate di tempesta, gonfie e silenziose, si precipitano sulle rive. I pontili oscillano con violenza, i vaporini rollano, risuonano cupi urti di scafi e di travi, e la folla nera dei battelli si agita tumidtuosamente sugli ormeggi, sbatacchia, scricchiola, geme, tutta scossa sullo sciabottìo burrascoso che passa.

Un soffio scende più violento; par di sentirlo filare sulla nostra testa; la bomba sta per cadere non lontano.... Ecco lo schianto. Il suolo ha tremato. Il fumo si innalza ad un centinaio di metri dalla Basilica, dietro all’abside. Un vocìo arriva dal fondo della Piazza. Si distinguono le parole «San Marco! San