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a gorizia 167


Ad un tratto ci troviamo di fronte ad un caffè aperto, un elegante caffè pieno di ufficiali che si dissetano, serviti da un cameriere in giacca bianca. Al banco il padrone. Si bevono delle limonate eccellenti per pochi soldi. Gli austriaci potevano mancare anche di sapone, ma avevano limoni in abbondanza. Anche nelle trincee. E sono limoni nostri, passati per la Svizzera. Le casse portano impressa l’origine. «Boni taliani!» — come dicono loro.

La prima cosa che ha rivissuto a Gorizia è stato il caffè. Si è aperto puntualmente alla mattina, appena si è estinta la fucileria nei sobborghi. Più avanti, nella città vecchia, oltre la piazza Grande, si sente una vita celata oltre i muri, una vita che aspetta nascosta, malsicura ancora. Qualche bimbo si mostra, delle donne spiano da dietro le persiane, sentendo un passo sulle pietre affocate della strada silenziosa. È il popolo più povero, quello che è rimasto del popolo dopo gl’internamenti e le coscrizioni. Domani le porte si apriranno e vi sarà un po’ di folla per queste viuzze tortuose dell’antico quartiere veneziano, che si arrampicano sulla collina del Castello.


Sul Castello gli austriaci tirano con i grossi calibri. Immaginano che serva da osservatorio. Le granate sembra che soffino sulla nostra testa, tanto il loro urlo possente si spande con