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166 | a gorizia |
oleandri fioriti maschera delle finestre basse che da lunghi mesi nessuno ha più aperto.
Quasi tutte le case dalle quali è scomparsa ogni traccia di vita recente, portano dei nomi italiani alle targhette dei campanelli. Le ortiche mettono alle loro porte delle soglie verdi. Sono le case degli internati. Il fumo di un incendio vela uno sbocco. Delle pattuglie percorrono i marciapiedi, e il loro passo risuona nella quiete ardente e pesante.
Una finestra a pian terreno è spalancata. Guardiamo dentro, c’è forse qualcuno. Nel mezzo della camera sono distesi dei cadaveri di soldati austriaci. Una motocicletta militare passa come un dardo in un crocicchio. Nell’afa ardente della giornata estiva scende dagli alberi polverosi un canto vasto e monotono di cicale. «Fermata del tram» — dice un cartello che sporge, e ci accorgiamo solo allora che delle rotaie rugginose si distendono sotto alla polvere fine della strada.
Gli edifici si fanno ampi, moderni, e si serrano allineando le loro finestre innumerevoli sulle facciate bianche. Siamo nel centro della città nuova, e qui la solitudine che l’Austria ci abbandona è più tragica, per tutto quello che parla della vita della folla, di movimento e di traffico. Vi è una non so quale costernazione nelle cose inanimate, nei palazzi senza sguardo, nei negozi sulle cui porte la polvere si è posata a strati.