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a gorizia 165

la terra trema, par di sentire la vampa dei colpi passare come un soffio ardente. Nuvole dense e vorticose annebbiano il greto, avvolgono il ponte. Quando il fumo si dissipa, la rigida trina di acciaio del ponte si disegna nera in una caligine grigia, e su di essa si rivedono le nostre batterie che passano impavide, tranquille, a piccolo trotto, sollevando la polvere della strada, con i postiglioni eretti sulle selle e i serventi rigidi sui sedili dei cassoni e dei pezzi. Raffiche di shrapnells empiono l’aria del loro lamento.... Dio! un cavallo di testa è caduto! La fila dei cannoni si ferma, si accavalca! È un istante. Le tirelle sono tagliate, il cavallo morto nereggia per terra. Il passaggio continua.


Risaliamo il greto, ecco delle case rustiche, dei cascinali, dei frutteti, poi delle ville, delle strade: Gorizia. Tutto è chiuso, tutto è silenzioso, tutto è abbandonato. Si direbbe che la città fosse vuota da anni. Per le vie alberate cresce l’erba lungo i lati, ai piedi dei muri. Un gran silenzio. Qualche tetto è sfondato, qualche edificio è bruciato, i muri sono butterati da schegge. In certi giardini le piante e i fiori hanno invaso ogni spazio, hanno cancellato i viali, si affacciano da tutte le parti sulla strada, hanno occupato il posto che l’uomo si riserbava fra loro, e un fiammeggiare di