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164 a gorizia

pugno. La resistenza è stata violenta e disperata. Vi sono ancora dei nemici dispersi che non si arrendono. Nei rifugi del Podgora, la cui torva cima ci sovrasta, in quei rifugi che aprono nella boscaglia stroncata la loro bocca nera di caverna, dei nuclei nemici sono rimasti intanati fino a poche ore fa.

Il vicino ponte della ferrovia, crollato in parte, sospende sulle macerie, fra i piloni rimasti, la centina delle rotaie intatte, sospese. Arrivano granate nemiche, di tanto in tanto, e le schegge crepitano sui muri come una grandine sibilante. Degli avvisi in tedesco indicano i passaggi alle posizioni, grandi cartelli neri e bianchi, sinistri come le iscrizioni funerarie sulle porte delle chiese nei giorni di esequie: «Nach Gorizia» — . Seguiamo il sentiero nel bosco che costeggia l’Isonzo, insieme alle truppe, i cui elmetti sporcati di fango oscillano nella marcia tra le fronde simili a ciottoli in moto. Il Genio ha creato una passerella attraverso il fiume. L’artiglieria nemica tempesta il greto. La fanteria passa a drappelli, di corsa.

Un fragore scrosciante di grosse granate ci sorprende, e uno spettacolo magnifico ci inchioda a metà della passerella. L’artiglieria italiana varca l’Isonzo sotto un diluvio di cannonate. Passa sul ponte di ferro. Il nemico vuol fermarla. Enormi esplosioni sollevano gigantesche colonne d’acqua, eruzioni di pietre,