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berdò, al sud. E nel centro l’ondata copre del suo impeto la piana di Gorizia. I margini dell’avanzata tendono alle alture, dove la nuova resistenza austriaca si delinea.

Ma non cerchiamo di capire. È una giornata di stordimento e di ebbrezza. Lasciamoci trascinare da questa immane ondata di esultanza che passa. Ci sentiamo travolti come da una bufera di entusiasmo. È la gioventù, è la gloria, è l’avvenire d’Italia che passano in un’irruzione prodigiosa, e ci sembra che nessuna giornata abbia avuto questo bagliore. La ritroveremo nella memoria come un ricordo fatto di luce, come una grande fiamma accesa nel nostro passato, nella nostra storia.

Sorpassiamo le vecchie posizioni piene di morti, varchiamo la soglia spaventosa che la fatalità aveva imposto alla nostra vittoria. Sulle trincee di Podgora, silenziose, dalle quali si domina tutto il nuovo campo di azione, due generali vanno lentamente lungo le creste, e guardano pensosi, seguiti da qualche aiutante. Sono i soli esseri viventi sulle tragiche vette.

Passano fra i rottami, fra i cadaveri, in uno sparpagliamento di armi spezzate, di granate a mano, di indumenti calpestati che hanno l’aria morta anch’essi, scavalcano grovigli di fili di ferro, si fermano meditando come per ricostruire nel gesto dei caduti gli episodi supremi della lotta, si additano delle cose vicine