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l’assalto prodigioso 135


plumbeo, il loro scoppio sprizzava in capricciose capigliature. Sulla moltitudine delle nubi, alcune salivano sottili, altissime, diafane, gesticolanti, avevano qualche cosa di soprannaturale, di spettrale, di animato.

Per lunghi minuti le alture bombardate sparivano completamente sotto la coltre delle nuvole, poi riapparivano adagio adagio, a squarci, nell’ombra, oscure, caliginose, tetre, irriconoscibili. Il cataclisma si estendeva a perdita d’occhio lungo le rive dell’Isonzo. Per tutto altrove una calma ridente, la sonnolenza dolce della campagna estiva. La terra, abbandonata in prossimità della fronte, si è inselvaggita, e non è stata mai più verde, più folta di vegetazioni scapigliate e impenetrabili, più bella. È piena di una vita silenziosa e primitiva, di quiete pittoresca, e in essa la linea arida della fronte di battaglia si disegna precisa, evidente, per la sua nudità pietrosa: sterminata fascia di sterilità e di morte.


Il Sabotino non ha più sterpi, non ha più rovi. Al di là delle boscaglie che ammantano i colli di San Floriano e di Prifabrisu, e che assaltano le rovine dei villaggi, il Sabotino profila la sua groppa lunga, regolare, strana, tutta grigia, di un colore nuovo, come scappellata. Le trincee italiane e quelle austriache parallele, tagliano il monte dall’alto in basso,