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4 notte veneziana di guerra


stellano gl’intrecci dell’erba. È il primo segnale di allarme. Il nemico si avvicina.

Si ode per tutto un rumore di battenti che si schiudono. Ogni casa spalanca la sua porta e offre l’ospitalità della sua corte e dei suoi anditi. Chi è per via allunga il passo e varca la prima soglia. Arriva dall’interno degli edifici abbuiati un brusìo di gente che dai piani alti, i più minacciati, scende senza spavento e senza fretta. Delle voci avvertono, chiamano: «Vegnì zo! I xe qua!».

«I xe qua!» — niente altro. Vi si sente l’abitudine e il disprezzo.

Tutto si quieta a poco a poco. I vaporini che facevano le ultime corse sul Canal Grande hanno spento i fanali e si serrano ai pontili, con i quali si confondono, mandando un soffio lieve di vapore come un ansimare represso. Non un tuffo di remi nell’ombra dei canali.

Nessun battello si muove. Le gondole abbandonate nereggiano in folla presso alla riva fra i pali d’ormeggio. È dileguato ogni segno di vita umana. Venezia sembra vuota, sola, più grande, e ad un tratto si ha la percezione di una sua vita misteriosa e possente. Pare che la emozione che ci afferra, confusa, inesprimibile, venga dal sentimento di una presenza animata, immane, soggiogatrice.