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la fine di cesare battisti | 119 |
e iniziò l’azione verso l’una del mattino. La
notte era serena, senza luna ma stellata, e nel
chiarore sidereo la montagna gigantesca levava
nitidamente i suoi profili imponenti. Il
Battisti, pratico del terreno, conoscitore innamorato
di ogni sentiero del suo Trentino, aveva
avuto l’incarino di servire da guida con la
sua compagnia (conosciuta alla fronte sotto al
nome di «Compagnia Battisti») ad un battaglione
di fanteria che doveva attaccare alla sinistra.
Il massiccio del Monte Corno è come un alto terrazzo, dirupato intorno, alle cui due estremità erompono le rocce delle due vette: quella del vero Monte Corno, a destra degli assalitori, turrita, tutta pareti a picco, formidabile, e a sinistra una vetta che dall’altitudine prende il nome topografico di «Quota 1801». Queste punte sono come due immani pilastri sopra un lungo piedistallo. Fra l’uno e l’altro il terreno ondula in piccoli prati a declivio, di quei prati d’alta montagna fitti e scivolosi dai quali i macigni e le rupi emergono biancastri come denti dalle gengive. Più in basso, ai bordi del terrazzo verso ponente, nereggia, in mezzo a convulsioni di pietrame, una sterpaglia di pini nani.
Gli austriaci occupavano fortemente le due punte, comunicando dall’una all’altra attraverso i praticelli del pianoro elevato. La vetta del