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variamente insieme armonizzate onde più o meno vi può il caldo, il freddo, l’umido, il secco; così più abile si ha la potenza ad una che ad un’altra professione di Lettere, secondo la tempera delle qualità, che ricercano gli strumenti, per essere più disposti ad operare. E questa abilità della potenza ben disposta verso tal sorte d’oggetti, è fondamento di quello, che chiamano Genio. Imperciochè essendo in ognuno per naturale istinto innata volontà di sapere; e non errando la Natura, consapevole di ciò che ha, in applicarsi a voler, come suo bene, cosa, per cui ottenere ella non abbia forze bastevoli; quindi è, che a quello ella ci porta col desiderio, per cui conseguire siamo abbastanza disposti. La proporzione dunque della potenza coll’oggetto, e la voglia che si ha di sapere, delle quali l’una applica, l’altra determina, cagionano quella proporzione e quella simpatia, che si può dir Forma del Genio.

Così non la disposizione, non la figura, non il colore, non la mole delle membra, come immediato o veritiero testimonio d’ingegno, osservar si vuole per applicare altrui alle Lettere. Ma da gli atti, testimonj naturalissimi delle potenze, argomentare l’interna loro costituzione; indi trovare a qual dell’arti o delle scienze ella abbia più confacevole corrispondenza. Così, già che non si può corre il mele alla sua fonte, che sono le stelle (così parla Plinio), almeno s’adoperino per averlo più puro di que’ fiori, che più gli somigliano con la natura: Ibi enim optimus semper (ros mellis), ubi optimorum doliolis florum conditur. Poichè non si può aver la scienza altrimenti che caduta dal cielo in questi corpi terreni; almeno vi si applichino a raccorla di quelli, che, di tempra simili al cielo ignea e sottile, ma stabile e regolata, con lei più simbolizzano e si confanno.