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96 | dell’uomo di lettere |
Chi vuol vedere la loro eccellenza, convien che riguardi da un punto, ch’è quello, ove tutte le linee del loro sapere s’uniscono; altrimenti nulla hanno di riguardevole, e anzi sembrano mostruosi.
Questi e più altri a gran numero sono i caratteri e le forme diverse, onde sì varj di genio e di talento sono fra di loro gl’ingegni. Or qual tempera di cape, quai’armonia di qualità, qual disposizione d’amori obliga l’anima sì, che in alcuni alle cose della mente insensata, alle più semplici e materiali agilissima; in altri nelle astratte eccellente, nelle pratiche inutile; qui ad una, qui ad un’altra, altrove a tutte, altrove a niuna opera di discorso o fatica d’ingegno sia disposta? Se le azioni dell’anima intendente da lei si fanno e si ricettano in lei; ehe vi può il corpo comunque sia temperato, o il celabro, in qualsivoglia maniera disposto? è se nulla ci può; resta che la diversità degl’ingegni sia diversa perfezione dell’anima, non varia disposizione del corpo.
Ma se ciò è vero; se dall’organo per operare, se dalla tempera degli umori per bene operare non dipende la mente; ond’è, che altri, o per improvisa percossa di capo, o per istrana malattia, hanno chi repente chi a poco a poco smarrita la memoria e perduto l’ingegno, sì che il lor capo, come il vaso di Pandora aperto e l’utre d’Ulisse sventato, è stato poi sempre senza spirito, senza senno?
Onde dall’eccessivo caldo del celabro lo sconcerto della ragione, il ribollimento delle specie, il disordine del discorso, il delirio, la pazzia? Perchè chi fanciullo era ingegnoso e pronto, crescendo con gli anni, avvien tal volta che ingrossi di mente; tanto dipoi stupido, quanto era inanzi svegliato? Pur l’anima è la stessa; chi dunque le spennò l’ingegno, chi le spuntò i pensieri, chi la rendè così altra da quella che una volta fu?
Ma i paesi? de’quali alcuni fertilissimi di grandi ingegni; come in Attica quella famosa Atene, nido e patria delle scienze, e, quanto la cerchiavan le mura, tutta un tempio di Pallade, tutta un’Academia di Letterati: all’incontro la Beozia abitata non dirò da uomini vivi, ma da statue morte, in cui la ragione non mostrava fra gli altri