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parte seconda 91

E veramente, se alla sperienza s’attende, chiaro si mostra, che la Natura non s’è obligata a coteste leggi, di non legare le perle senon in oro, e di non porre ingegni d’eccellente sapere senon in corpi d’esquisita bellezza. Potest ingenium fortissimum ac beatissimum sub qualibet cute latere. Potest ex casa vir magnus exire. Potest ex deformi vilique corpusculo, formosus animus ac magnus; disse vero il Morale1. Membra contadinesche cuoprono molte volte dilicatissimi ingegni. Stanno bellissime anime sotto una ruvida pelle, come colei sotto l’ispida spoglia del Lion Nemeo. Galba grande Oratore pareva un tronco di sasso informe, ma dentro v’avea una vena d’oro d’un prezioso e chiaro ingegno: onde scherzando di lui M. Lollio solea dire: Ingenium Galbæ male habitat2. Così tanti altri, che lungo sarebbe ridire, si deformni, ma sì ingegnosi, che parea che in essi, come nella Calamita, andasser di pari la bellezza dello spirito e la bruttezza del corpo.

Altri poi vi sono, che le grandezze dell’ingegno misurano dalla mole del capo; e non credono che possa essere una grande Intelligenza quella, che non ha una grande sfera. Non intendono, come un piccol capo riesca ventre abile a concepire una gran Pallade; come un’ingegno gigante possa racchiudersi nell’angusta nicchia d’un piccol cranio.

Non sanno, che la Mente è il centro del capo, e il centro non cresce per la grandezza del circolo. L’occhio non è egli poco più d’una gocciola di cristallo? e non ha egli in tanta piccolezza un seno sì capace, che per la porta d’una pupilla ricetta senza confonderlo mezzo un mondo?

          Parvula sic totum pervisit pupula cælum:
          Quoque vident oculi minimum est, cum maxima cernunt3.

Spesse volte avviene, che come un piccol cuore naturalmente serra un grand’animo, così in un capo di poca mole una mente di grande intendimento si chiuda.

  1. Seneca, Ep. 66.
  2. Macr. l. 2. c. 6. Saturn.
  3. Manil. Lib. 1. Astron.