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e di fattezze, che ne perderebbono i Menecmi di Plauto1 benchè

          Ita forma simili pueri, uti nutrix sua
          Non internosse posset quæ mammam dabat,
          Neque adeo mater ipsa quæ illos pepererat.

Dalla destrezza, che molti hanno in rubare gli scritti altrui, è nata la gelosia per custodirli, e le querele quando avviene che ne sieno furtivamente levati.

Ancor la Natura ha insegnato a gli animali che due cose la più preziosa e la più soave producono, tanto più ingegnosamente difenderle da’ ladroni, quanto essi più avidamente le cercano. Così le Conchiglie madri delle perle, quando la luce della mattina le squopre, si chiụdono; e se v’è chi ad alcuna s’accosti mentr’è ancor’aperta, benchè per altro cieca, cum manum videt, comprimit sese, operitque opes, gnara propter illas se peti; manumque, si præveniat, acie sua abscindit, nulla justiore poena2. Così le Api con amarissimi sughi aspergono i loro alvearj contra aliarum bestiolarum aviditates; id se facturas consciæ, quod concupisci possit3. Ma perchè

          Nil est deterius latrone nudo4,

e contra questi ladri Mercurj non basta tener come Argo cent’occhi in sentinella; quindi eccoci alle querele, delle quali molti Autori, molti libri son pieni.

E certo, in ciò difficile è la pazienza, e ragionevole il dolore. In fin le morte statue di bronzo, disse Cassiodoro5, se da’ notturni ladroni si battano per ispezzarle, benchè non abbiano senso per dolersi, hanno però grida per lamentarsi; con che nec in toto mutæ sunt, quando, a furibus percussæ, custodes videntur tinnitibus admonere.

Ma eccovi in due brevi ricordi il rimedio contra questa viziosa fame delle altrui fatiche. Il primo è, che vi persuadiate, che il mondo non è Fiscale di sì poco sapere, che dalla publica fama, o più tosto infamia, da

  1. In prol.
  2. Plin. lib. 9. c. 35.
  3. Plin. lib. 1. c. 6.
  4. Mart.
  5. Libr. 7. ser. 21.