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82 | dell’uomo di lettere |
debito di loro ufficio1: Vigila impiger cum nocturnis avibus, nox, tibi pandat aspectus; et sicut illæ reperiunt in obscuris cibum, ita tu possis invenire præconium.
Queste sono le ore più preziose del giorno; o sia, come insegna Ficino, privilegio di particolari influssi del cielo; o perchè i pensieri suggellati nel più bel fior degli spiriti, la cui parte fecciosa e grossa s’è o separata o digerita col sonno, si presentano, senza appannarla, allo specchio della mente, e in essa limpidissimi veggono i riflessi di quelle prime Idee che sono forme del vero. Comunque ciò sia, la sperienza di chi lo pratica insegna, che l’Aurora è madre del mele, e che allora cascano così le perle su le carte di chi compone, come le rugiade si stillano nelle conchiglie.
A chi dorme in questo modo, il sonno riesce non solo, quale lo chiamò Tertulliano2, recreatorem corporum, redintegratorem virium, probatorem valetudinum, pacatorem operum, medicum laborum; cui legitime fovendo dies cedit, nox legem facit, auferens rerum etiam colorem; ma, com’egli, per altro, soggiunse, Maestro di resurrezione per più beato uso di vivere.
Una voce d’Angiolo in bocca d’una bestia, è quel bellissimo detto d’Apollonio Tianeo; qui ajebat (riferisce Filostrato3), oportere recte philosophantes adveniente aurora cum Deo versari, procedente die de Deo loqui, reliquum tempus humanis rebus et sermonibus dare. Per gli usi della mente, in qualunque materia ella s’adoperi, non v’è tempo migliore che il primo spuntar dell’Aurora; in cui pare, che per un certo occulto consenso così nasca la luce a gl’ingegni, come il giorno risuscita al mondo. Dunque: Beati qui seipsos assimilant Angelis, ita vigilando4. E questo non ha ad essere sforzo di pochi giorni, ma legge ordinaria di nostra vita, che nel ripartimento delle ore del giorno, dia e le prime e le più, per ordinario, allo studio. Almeno dovremmo poter dire come Apelle, quel gran maestro dell’antica pittura, non esserci passato