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Ut illum Dii male perdant, primus qui horas reperit,

Quique adeo primus statuit hoc Solarium,

Qui mihi comminuit misero articulatim diem,

Nam, me puero, uterus hic erat Solarium,

Multo omnium istorum optimum et verissimum;

Ubi isto monebat esse, nisi cum nihil erat:

Nunc, etiam non est quod est, nisi Soli lubet.

Itaque jam oppletum est oppidum Solariis,

Major pars populi aridi reptant fame.

Una così gran voglia dovreste appunto aver voi ancora di pascer la mente col soavissimo mele della sapienza, che le ore del sonno vi paressero secoli, e le azioni pur necessarie al mantenimento della vita tormenti. Così quel Demostene, di cui poco sopra vi dissi, ne avea sì gran fame, che per pascer la mente facea digiunar gli occhi dal sonno e la gola dal cibo; onde Plus olei quam vini expendisse dicitur, et omnes artifices nocturnis semper vigilis prævenisse.

E questa a voi ancora de’ esser legge, di non dare a quell’ avarissimo Publicano (così chiamava Clemente Alessandrino il sonno) la metà di vostra vita per gabella. A’ Sibariti, uomini animali, si dà licenza, che dalla loro città scaccino con publico editto tutti i Galli, perché cantando non rompano loro il filo del sonno nelle ore più dolci: voi, che avete a servirvi del letto non per sepellirvici dentro ma per posarvici sopra, abbiate come Pitagora un Gallo fedele, che su l’ aurora vi svegli, e vi richiami dalle piume alla penna, da’ sogni della fantasia alle contemplazioni della mente.

Non avverrà a voi ciò, che a quell’ avventuroso guerriero Timoteo, a cui la Fortuna con una gran rete pescava città, castella, provincie, e gliele gittava in seno; mentre intanto egli stava saporitamente dormendo. Nelle Lettere non pesca chi dorme; perché la Sapienza non é dono di Fortuna, ma frutto d’ industria. Imaginatevi, che Cassiodoro dica a voi solo ciò con che avvisava certi altri del