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si buttassero dalla bocca le paglie, quæ medullam non habent, nec possunt nutrire discentium populos, sed de inanibus stipulis conteruntur1.

Rane sono costoro, dice Agostino2: Ranæ clamantes in paludibus limosis; (quæ) strepitum habere possunt, doctrinam veræ sapientiæ insinuare non possunt. Or mentre s’aprono i cieli, e s’ode da colasù il Padre, mostrando col dito il Verbo suo Figliuolo, dire ipsum audite, si vuole egli dare un’orecchio a Cristo e l’altro ad Aristotile o a Platone? Cælum tonat, taceant Ranæ3. Dove Cristo insegna, e in lui la Verità, anzi egli Verità sè stesso palesa, mutola è la Sapienza e senza lingua la Filosofia del secolo: Et Philosophia nostra Christus est4.

DAPOCAGGINE

13.

Inganno di chi pretende studiar poco, e saper molto.

Non è d’Ippocrate solo, non d’Aristotile e di Teofrasto, ma di tutte le lingue del mondo, publica voce e concorde querela5, essere il Cielo con noi avarissimo di quel tempo, di che a’ Corvi, a’ Cipressi, a’ macigni è stato si prodigo. Toccarci per arti troppo lunghe e troppo difficili vita troppo brieve, per immensi viaggi scarsissimo viatico6. Si sono smarrite quelle tempre d’acciajo che rassodavano, quegli Elixir vitæ che vivi imbalsamavano gli uomini; sì che vedendosi da presso i mille anni, si risolvevano d’uscire del mondo più per esser sazj di tanto vivere, che per avere obligo di morire. Noi, come fiori, che jeri nacquero, oggi son vecchi, e dimani cadaveri, abbiamo si corta la vita, come se per altro non nascessimo che per morire. Quella che negli antichi era

  1. S. Hier. l. 4. in Jer.
  2. Serm. 95.
  3. Aug. serm. 109. de temp.
  4. S. Petrus Damian. ser. 57.
  5. Sen. de brev, vit. c. 1.
  6. Laert. in Teoph.