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76 | dell’uomo di lettere |
si buttassero dalla bocca le paglie, quæ medullam non habent, nec possunt nutrire discentium populos, sed de inanibus stipulis conteruntur1.
Rane sono costoro, dice Agostino2: Ranæ clamantes in paludibus limosis; (quæ) strepitum habere possunt, doctrinam veræ sapientiæ insinuare non possunt. Or mentre s’aprono i cieli, e s’ode da colasù il Padre, mostrando col dito il Verbo suo Figliuolo, dire ipsum audite, si vuole egli dare un’orecchio a Cristo e l’altro ad Aristotile o a Platone? Cælum tonat, taceant Ranæ3. Dove Cristo insegna, e in lui la Verità, anzi egli Verità sè stesso palesa, mutola è la Sapienza e senza lingua la Filosofia del secolo: Et Philosophia nostra Christus est4.
DAPOCAGGINE
13.
Inganno di chi pretende studiar poco, e saper molto.
Non è d’Ippocrate solo, non d’Aristotile e di Teofrasto, ma di tutte le lingue del mondo, publica voce e concorde querela5, essere il Cielo con noi avarissimo di quel tempo, di che a’ Corvi, a’ Cipressi, a’ macigni è stato si prodigo. Toccarci per arti troppo lunghe e troppo difficili vita troppo brieve, per immensi viaggi scarsissimo viatico6. Si sono smarrite quelle tempre d’acciajo che rassodavano, quegli Elixir vitæ che vivi imbalsamavano gli uomini; sì che vedendosi da presso i mille anni, si risolvevano d’uscire del mondo più per esser sazj di tanto vivere, che per avere obligo di morire. Noi, come fiori, che jeri nacquero, oggi son vecchi, e dimani cadaveri, abbiamo si corta la vita, come se per altro non nascessimo che per morire. Quella che negli antichi era