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68 | dell’uomo di lettere |
Uomini, come Alessarco, come Rennio, pazzi, benchè forse meno conosciuti, non dubito io, che non ne sieno come i fior d’ogni tempo, ancor’oggi nel mondo. Chi volesse ritrarli con imagine espressiva di ciò che sono, potrebbe acconciamente dipingere un gran fumo che s’ alza, fino alle nuvole, e quanto più s’alza, tanto più gonfia e allarga que’ suoi grandi volumi; indi aggiungervi il motto di S. Agostino1: Quanto grandior, tanto vanior.
In udirli tal volta favellar di sè stessi per vanto, e d’altrui per dispregio si conosce quanto starebbe lor bene il saluto, che Filippo Macedone rendè al superbo suo Medico, che gli scriveva: Menecrates Juppiter Philippo salutem. Fu la risposta: Philippus Menecrati sanitatem; che fu un farsi medico del suo medico, e inviargli per sanità del cervello una presa d’elleboro in un saluto.
Che sotto la lor cappa e ‘l loro mantello stanno le alte e le più profonde Scienze; come sotto la corteccia delle conchiglie, e non altrove, le perle: Che i loro dettati sono le carte del navigar sicuro, senza di cui nelle Scienze s’incontra o naufragio o pericolo: Che i loro insegnamenti sono all’ultime mete del vero, come le stelle a’ confini dell’universo, sì che
Altius his nihil est, hoec sunt corfinia mundi2
Gli altri sono le fonti, essi l’Oceano; gli altri Talpe, essi Linci; gli altri Farfalle essi Aquile; gli altri Mosche, essi Aghironi.
O Medici, mediam contundite venam.
O se non questo, almeno si tenti d’aprire la porta al vento, di che i miseri hanno sì gonfio il capo, e ciò sia facendo loro metter gli occhi nella luce d’alcune chiarissime verità.
1. Ad ognuno le cose sue, per piccole che sieno, sembrano grandi. L’amore di sè stesso e uno specchio concavo, che fa che un capello paja un tronco, e una Zanzara un Pegaso. Chi prende lui per giudice, stima le cose sue come quel Clito3 stimò una battaglia, navale, in cui