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parte seconda | 65 |
impeto e moderazione. Non abbia il Crisostomo a lamentarsi1 quod tanquam Lupi in adversarios ruamus, sæpe sine victoria: qui tamen vinceremus, si Oves essemus, a pastoris auxilio non recedentes, qui non Luporum sed Ovium pastor est.
Felici le Lettere, se i loro Maestri usassero frą sè l’emulazione e i contrasti nella maniera, con che già amichevolmente contesero Protogene e Apelle nel tirare in mezzo ad una sottilissima linea un’altra linea più di quella sottile, senza uscire un punto dal dritto. Se le acutissime e splendidissime armi dell’ingegno fossero, come di certe altre disse Cassiodoro2, Arma juris, non furoris, raggi di verità, non saette di maldicenza. Ma in fine la sperienza dimostra, che le liti dell’ingegno, di civili ch’esser dovrebbero, per lo più diventano criminali: onde meglio sarebbe, a giudicio mio, quando l’interesse del publico: bene altrimenti non persuada, voltar le spade e le lance in vomeri e in marre, e cultivare l’ingegno suo anzi che combattere contra l’altrui. Che se pure il solletico di contradire non ci lascia viver quieti altrimenti che inquietando altrui, mancano (come scrisse Girolamo ad Agostino, ricusando di venire con lui a cimento d’ingegno e a disputa), mancano publici Maestri d’errori, Eretici, Ateisti, Politici da impugnare? Si lascino gli uomini, e s’uccidan le fiere. Dicasi con Entello, quando, in vece di Darete nemico, ammazzò un Bue3:
Erice, a te quest’alma
Più degna di morir offrisco in vece
Di quella di Darete. E vincitore
Qui ’l cesto appendo, e qui l’arte ripongo.