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62 | dell’uomo di lettere |
d’elleboro si nettò da’ cattivi umori e massime della bile lo stomaco, acciochè i loro fumi non gl’intorbidassero in quell’azione importunamente l’ingegno. Ne quid e corruptis in stomacho humoribus ad domicilium. usque animi redundaret, disse Gellio di lui1. Chi ha purgato il cervello, e sa quanto basta per ciò che intraprende ad impugnare, non lasci di purgare le amarezze della bile; sì che sia ugualmente incolpabile la dottrina, e la sua dettatura.
Accordi gli affetti dell’animo alla musica della ragione; onde lo stile, con che si recita il fatto suo, non abbia nè durezza nè dissonanze. Non esca a combattere prima di fare alle Grazie quel sacrificio, che l’amenissimo Platone al ruvido Senocrate consigliava2. Poi vada come que’savj e forti Spartani, ch’entravano in battaglia non al suon di strepitosi tamburi, ma di ciaramelle e di flauti. Ut modestiores modulatioresque fierent, disse Tucidide appresso Gellio3. Altrimenti, chi non è come voi appassionato, vedendo le scomposte vostre maniere, ne avrà nausea e disdegno. Si dirà anche a voi come a Filemone suo antagonista, e per ignoranza de’ Giudici ancor vincitore, diceva il Poeta Menandro: Quæso te, bona venia, dic mihi: cum me vincis, non erubescis? Fate quantunque buoni sapete i colpi, se non siete altrettanto modesto quanto efficace, guadagnerete il titolo di quel crudo Cirugico di Roma4, che per la fierezza con che indiscretamente tagliava, perduto il nome di Cirugico, l’acquistò di Carnefice.
Più malagevol cosa è, che stia a segno di ragione chi provocato pare che abbia così più libero il risentirsi, com’è ragionevole il dolersi. Questa è una di quelle non ordinarie tempeste, per cui è necessario il Timone di Rispetto d’una straordinaria padronanza de’ suoi affetti, sì che or con ischerma e or con forza si deluda e si rompa la gagliardia e gl’impetuosi assalti dell’onde. Quel moderamen inculpatæ tutelæ fin dove è lecito giungere nel difendersi, è una linea sì difficile a toccarsi senza trascorrerla, come a chi