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percussus sum? Num idcirco curari non debeo, quia tu me bono animo vulnerasti? Confossus jaceo, stridet vulnus in pectore, candida prius sanguine membra turpantur; et tu mihi dicis: Noli manum adhibere vulneri, ne ego te videar vulnerasse?

10.

Avvisi intorno al pericoloso mestiere di scrivere contro altrui, e alla maniera di difendere sua ragione.

Non basta, per avviso di chi sa poco e ardisce molto, aver fin’ora detto, come un Calzolajo, che di suo mestiere non s’alza ultra crepidam, non de’ voler salire fino alla faccia, e condannare un volto disegnato e dipinto da Apelle, il cui magistero, com’egli non ha occhi dotti sì che l’intendano, non dee avere lingua ardita di condannarlo. Resta ancora a dirsi di ciò, che richieggono i contrasti fra gl’intendenti, perchè riescano a livello della ragione, e conforme alle misure del retto; sieno poi essi o impugnazioni degli altrui scritti, o difese de’ proprj.

E quanto allo scrivere contro altrui, come l’amore della verità convien che sia quel solo, che metta in mano la penna, e in certo modo faccia lo Scrittore suo Cavaliere; così la modestia dee essere la maestra, che insegui l’arte di maneggiarla, usandola non come lancia di Soldato, ma come lancetta di Cirugico, contro all’errore per ammenda, non contro all’autore per offesa: mostrandosi in ciò buono scolare della divina Sapienza, il Verbo; la cui bocca nelle Cantiche1 si paragona non alle rose, che pure sono di colore che più d’ogni altro fiore rassembra le labbra, ma si assomiglia a’ gigli: e questo non tanto perchè la candidezza della Verità, propria e naturale della bocca di Cristo senza pittura o abbellimento forestiere, da sè sola bastevolmente risplende, ch’è ingegnosa sposizione di Teodoreto2; ma ancora perchè il giglio è un fiore non meno

  1. Cant. 5.
  2. In cap. 5. Cant.