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56 | dell’uomo di lettere |
ragghiare delle loro dissonantissime trombe atterrire e mettere in fuga i Giganti?
In vedere costoro, e altri lor pari, postillare, cassare, correggere gli scritti di que’ valent’uomini, mi ritorna alla mente e quasi mi viene inanzi a gli occhi quell’indiscretissimo Asino, che con la bocca avvezza a gli sterpi, a’ bronchi, alle spinose pannocchie de’ cardi osò lacerare e mangiarsi tutta l’Iliade del Poeta Omero; con tanto maggior vergogna e disavventura di Troja, sì come disse un Poeta, quanto che già un Cavallo più onoratamente, ora più vilmente un’Asino la distruggeva.
Moriva Aristide, Greco: uomo di virtù guerriera, provata a più d’un cimento: e moriva di veleno preso dalla morsicatura d’un certo piccolo animaluccio, che l’avea punto. Non incresceva al valent’uomo il morire, ma il morire da vile; cioè non isquarciato da un Lione, non pesto da un’Elefante, non isbranato da una Tigre, ma punto da un’infelice bestiuola. Simile a me par che potesse essere il dolore di que’ grandi Maestri del Mondo, vedendosi impugnati, ripresi, condannati, non da uomini per Lettere o per ingegno eccellenti, ma da un cuoco, da una femina, da un pedante. Che se le stelle (disse Cassiodoro1) vedendo in un’orivolo a Sole imitati e quasi scherniti col piccol moto d’un’ombra gl’immensi periodi della lor luce, se avessero sdegno, confonderebbero per isdegno il Cielo, e ’l Mondo, e incomincerebbero altri movimenti, altri giri, meatus suos fortasse deflecterent, ne tali ludibrio subjacerent; che vi pare farebbero ora tanti in ogni professione di Lettere oracoli di Sapienza, se nel silenzio de’ loro sepolcri potessero udirsi tacciare chi di cieco, chi di scimunito, chi d’inescusabilmente ignorante? e questo da uomini, non che non tutto savj, ma, se dal senno si misurino, ne pur tutt’uomini; che per guadagnarsi appresso il volgo degl’ignoranti e nome e credito d’Ercoli e di Sansoni, svellono i peli dal mento a’ già morti Lioni.
Secondo: Molte volte avviene, che sia nostra ignoranza
- ↑ Lib. 1. Ep. 15.