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raccordando col loro esempio la verità di ciò che Pollione disse d’Augusto, che non si dee scribere in eum, qui potest proscribere1.

Sempre non riesce di trovare chi doni, perchè si taccia di lui; nè chi (seguendo il consiglio d’Alonso Re d’Aragona) butti al Cane medicatis frugibus offam, perchè non abbai, a almeno non morda. Ventura singolare era questa di quell’Avvocato di Marziale2:

          Quod clamas semper, quod agentibus obstrepis, Heli,
               Non facis hoc gratis, accipis ut taceas.

Molte volte accipiunt, ut taceant; ma ricevono non so che, onde tacciono si, che non s’odono mai più favellare: che fu la mercede di quel celebre Zoilo3; che o fosse abbruciato vivo, o lapidato, o crocifisso, con uno di queste tre sorti di buona moneta ricevè l’intero pagamento delle maldicenze sparse contra il principe de’ Poeti.

9.

Che chi errò scrivendo, non dee rifiutare l’ammenda:
e chi non sa, non dee prendersi a correggere
nè condannare altrui.

Non v’è uomo in terra d’ingegno sì limpido e cristallino, che in ricevere la luce della Sapienza non getti qualche ombra, chi più chi meno opaca e torbida d’Ignoranza. Le nostre anime, diceva un Savio antico, fuoco da sè limpidissimo e tutto luce, perchè sono congiunte a questa grossa materia de’ corpi che avvivano, oltre la pigrezza che loro ne viene, anche co’ fecciosi vapori s’infoscano; onde a guisa di fiamma confusa e rammescolata con fumo, perdono in gran parte e la vivezza del moto e la chiarezza del lume. E quinci è la difficoltà nel cercare e l’incertezza nel conoscere la verità. Per tanto, hanc veniam petimusque damusque vicissim, di poter qualche

  1. Macr. libr. 2. Sat. c. 4.
  2. Libr. 2. epigr. 36.
  3. Vitruv. præf. l. 7.