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40 | dell’uomo di lettere |
del prezzo cavato dalla vendita de’ suoi averi; gittarli in mare, e con esso il gittarli dire: Ite; perdo vos, ne perdar a vobis. E appunto Origene, e dopo lui Santo Ambrogio, le nocevoli dottrine de’ ricchi Ingegni chiamarono con la parola di David Divitias peccatorum.
Le Sirene avevano pur dolci e pur soavi i canti. Non sono le Remore sì forti in arrestare le navi quando le afferran co’ denti, come esse le incantavano, sì che senza gittar l’ancora o ammainar la vela, quasi rimase su le secche, restavano immobili.
Delatis licet huc incumberet aura carinis,
Implessentque sìnum venti de puppe ferentes1;
Figebat vox una ratem.
Ma dietro al canto veniva il sonno, e dietro al sonno la morte. Così tanto sol si godea, quanto vi volea per dormire; tanto si dormiva, quanto bastava a morire.
Nec dolor ullus erat; mortem dabat ipsa voluptas. A tal pericolo altro scampo non v’era, che chiudere al canto e all’incanto gli orecchi, usando perciò be famose cere d’Ulisse, qui cogitavit felicissimam surditatem; ut, quam vincere intelligendo non poterat, melius non advertendo superaret2. Niente meno ci vuole con queste incantatrici Sirene de’ libri dilettosi sì, ma la più parte di loro nocevoli; i quali, e perchè inutili e perchè dannosi, nescire quam scire melius est3.
Per d’oro e di perle che sieno le tazze di Circe, chi vuol bere da esse il veleno? Per gran curiosità che se ne abbia, chi vuol mirare nello scudo di Pallade il volto di Medusa, se il mirarlo costa diventare un sasso e per diventarlo satis est vidisse semel4? Quanto scempio e nell’onestà e nella Religione fa (per non dire ora della baldanzosa libertà de’ cattivi) la troppa fidanza de’ semplici buoni! che, con fine di ripulirsi l’ingegno allo specchio di simili libri, per trarre ricchezze di preziosi pensieri da’ tesori di così dotti Autori, fanno come quegli, che, nel cavare le gemme di testa a’ dragoni,